Le catacombe e la nascita dell’iconografia cristiana

Chi è curioso di capire come sia nato il ricco repertorio dell’iconografia cristiana potrebbe visitare alcune delle catacombe di Roma, cercando per un giorno di indossare i panni del moderno iconologo.

Lì, nel buio dei cunicoli, delle gallerie e delle tombe che erano rischiarati solo da fioche lucerne, anonimi pittori hanno dato vita nel corso dei primi secoli del cristianesimo a una produzione pittorica che si sta rivelando tra le più interessanti del periodo tardo antico.
Scene e simboli, spesso semplici, compendiari, veloci, a volte non di certo raffinatissimi dal punto di vista stilistico, ma molto molto potenti nel messaggio che volevano custodire e tramandare. Nasce, infatti, un’arte che parla per mezzo di simboli.

Alcuni temi sono ripresi dalla cultura pagana, che al tempo conviveva con quella cristiana, e riadattati per veicolare e declinare un messaggio che si arricchisce di altri significati. Pensiamo, ad esempio, al mito delle Fatiche di Ercole, semi-dio greco, nato da una regina e da Zeus, dotato sin dalla culla di una forza sovrumana. Ercole, l’eroe costantemente messo alla prova, supera le dodici fatiche dalle quali o si esce sconfitti e si muore oppure si vince e si rinasce ad una nuova natura non più decaduta, divina. Ercole lo vediamo raffigurato, ad esempio, nelle catacombe private di Via Dino Compagni.Tra i temi e le figure classici-pagani sottoposti a revisione simbolica troviamo anche Orfeo. Orfeo è uno degli eroi che prese parte alla spedizione degli Argonauti, è il mitico cantore della Tracia che suona la cetra con cui ammansisce anche le bestie più feroci e la cui figura nell’iconografia catacombale viene assimilata per via delle melodiose musiche a quella di Davide, il Re d’Israele, profeta, unto del Signore, autore di numerosi “Salmi”. Questa assimilazione semantica è particolarmente esplicita nel soffitto di un cubicolo delle Catacombe di Domitilla. La cetra di Orfeo e quella di Davide, con le loro corde, simboleggiano la scala musicale che unisce Cielo e terra, divino e umano.
Nelle pitture catacombali l’accostamento si fa diretto non solo con Davide ma anche con il Cristo. A Orfeo, infatti, è concesso di scendere all’Ade per riportare momentaneamente in vita l’amata Euridice e anche lì, nel regno dei morti, riesce a commuovere e toccare il cuore degli dei degli Inferi grazie al suono della sua cetra. Aldilà dal quale poi solo il Cristo potrà salvare per sempre le anime. Come rimarca in tono polemico Clemente Alessandrino (scrittore cristiano e maestro presso il Didaskaleion d’Alessandria d’Egitto tra il II secolo e il III secolo d. C.) all’inizio del “Protrettico”, solo il Cristo-Logos è il cantore di un “canto nuovo” (καινὸν ᾆσμα), veramente rivoluzionario e salvante. Per questa tipologia di raffigurazione di Orfeo si rimanda alle catacombe di San Callisto e dei SS. Marcellino e Pietro.

 

A testimoniare la fede della rinascita in Dio grazie al Cristo sono chiamate in causa, sostanziate di ulteriore significato, anche scene Vetero Testamentarie. Un immaginario salvifico che si fa reale e possibile in un nuovo orizzonte cristico. È il caso, solo per citare alcuni dei dipinti delle catacombe romane, di Giona salvato dal mostro marino. La scena di Giona inghiottito dalla pistrice (fantasioso mostro marino con sembianze di cetaceo e coda di serpente simbolo) che dopo tre giorni viene risputato fuori dalle sue fauci rimanda, ovviamente, alla morte, deposizione nel sepolcro, discesa all’Ade e risurrezione dopo tre giorni di Gesù il Cristo. Si vedano per questa precipua iconografia le catacombe di via Anapo oppure quelle di Santa Tecla.

Oppure possiamo citare la raffigurazione de I tre giovani nella fornace. Iconografia che esprime la fede assoluta in Dio, tanto che i tre giovani sono pronti a farsi gettare nella fornace da Nabucodonosor per non adorare l’idolo d’oro, certi dell’intervento divino che li avrebbe salvati.
A tal riguardo, lo studioso tedesco Joseph Wilpert (“La pittura delle catacombe romane”) ha ipotizzato che le scene di liberazione miracolosa che sovente si incontrano nell’arte cimiteriale (Daniele salvato da leoni, Noè dal diluvio, Giona dal mostro marino, Susanna dall’ingiusta accusa dei vecchioni…) si riferiscono anche all’aspirazione dei defunti di essere liberati da tutti quei pericoli e quelle pene in cui l’anima rischia di incorrere nell’aldilà.

Non mancano, inoltre, scene, figure, immagini del Nuovo Testamento. Tra queste rimandano direttamente al Cristo sia la figura del Buon Pastore che quella del Pescatore. La diffusione di quest’ultima iconografia è piuttosto rara nelle catacombe, ma molto interessante. Cristo che si fa pescatore di uomini salvandoli, facendoli salire sulla sua Nave-Tempio che veleggia verso Oriente dove Lui tornerà nella sua Parusia, alla fine dei tempi per instaurare il Regno di Dio, e dove in unione con Lui si può rinascere a vita eterna. Per questa iconografia segnaliamo le raffigurazioni nella Cappella dei Sacramenti in San Callisto e nella Galleria dei Flavi nelle catacombe di Domitilla. Simboli apparentemente semplici ma che racchiudono Misteri profondi, soprattutto quello della Resurrezione, della Celeste Gerusalemme, dell’Ottavo giorno dell’Apocalisse…
Tra le scene Neo Testamentarie, in questo contesto catacombale che non è di morte, tristezza, disperazione come potrebbe sembrare, ma di fede e speranza nella rinascita a vita eterna nella luce gloriosa del Cristo, immancabile è quella della Resurrezione di Lazzaro.

L’arte delle catacombe, inoltre, ha tramandato un ricchissimo repertorio di simboli incisi sulla pietra, dipinti, scolpiti. Simboli che spesso per noi oggi sono diventati muti, purtroppo in alcuni casi hanno anche perso valore, ma che in quel momento stavano germogliando e gettando le basi di un dizionario di simboli comune e condiviso per secoli. Anche Clemente Alessandrino nel “Pedagogo” consigliava per i sigilli degli anelli dei cristiani questi quattro simboli principali: ancora, pesce, colomba e nave.

Restando sempre nell’ambito del simbolismo nautico e marinaresco, tra i simboli delle catacombe oltre quelli più diffusi dell’Ancora e del Pesce, c’è anche il Delfino. Lo studioso Mariano Armellini, nella sua imprescindibile opera “Lezioni di archeologia cristiana” specifica che il delfino è quel pesce che sin dall’antichità è considerato amico e Salvatore degli uomini.

Infine, ci piace chiudere queste poche righe, ricordando un’altra iconografia che nasce nelle catacombe, rendendo omaggio a quelli che ne sono i protagonisti, gli eroi della fede: i martiri. Tra di loro, essendo in tema di catacombe romane, non si può non ricordare la giovane Agnese che insieme a San Pietro e San Paolo è la patrona di Roma. Già il Calendario romano noto come “Cronografo” del 354 d. C. alla data del 21 gennaio ricorda la giovane santa che morì al tempo delle persecuzioni di Diocleziano condannata appena dodicenne ad essere arsa viva. Nelle catacombe di via Nomentana, che poi hanno preso il suo nome, è stata riscoperta la sua tomba.

È lì che è stata eretta anche la basilica paleocristiana a lei intitolata. La precoce diffusione del suo culto è attestata anche dai numerosi vetri dorati recanti la sua effige ritrovati nelle catacombe: di pregevole fattura è quello che ritrae Sant’Agnese come orante, la cui figura si staglia nel paradiso simboleggiato da stelle, colombe e rotoli della legge, rinvenuto nelle catacombe di San Panfilo. Una sua effigie, una sorta di suo pseudo ritratto, è la pittura conservata nelle catacombe di Commodilla in cui è affiancata da un agnello.
È ipotizzabile che la grande quantità di raffigurazioni rinvenute in tutte le catacombe, che come dicevamo proprio in questo contesto vedono una prima loro elaborazione formale e iconografica, siano state scelte in virtù del loro valore simbolico per rendere sacro il luogo di sepoltura e forse anche per un ben preciso utilizzo rituale.