Sostanze consacrate e riti di passaggio

Da Oriente ad Occidente nei miti più antichi si tramanda l’esistenza di un Regno misterioso e inaccessibile: l’isola di Apollo che i Celti chiamarono Aballun-Avallon, la città delle porte d’Oro nel mito platonico di Atlantide, denominata anche Isola bianca, Agharta o Thule, il regno del Prete Gianni, l’Eden o il Pardes della tradizione cabalistica.

Un Regno, governato da un possente monarca, da cui tutto origina e dal quale discende un eroe prescelto per essere il “re del mondo” in grado di creare sulla terra un collegamento con questo regno celeste, di stabilire un’alleanza tra Dio e l’uomo. È il caso dell’eroe Manu nella tradizione hindu o del mitico Menes degli antichi Egizi; corrisponde anche al Minos dei Greci, al Menu dei Celti e ancora nell’antica Roma troviamo la figura del re primordiale Numa. Si tratta quindi di un personaggio speciale, che in tutte le tradizioni ritorna con nomi simili ad indicare una qualifica o un titolo particolare, ossia quello di pontefice tra terra e Cielo. Questi eroi vengono consacrati direttamente da Dio o da speciali personaggi che, investiti del potere divino, sono in grado di conferire questa speciale iniziazione che li qualifica come Re e Sacerdoti (Alessandro Benassai, La leggenda del Santo Graal e il regno misterioso. Le Origini divine della regalità, Archeosofica, San Galgano 1995).

Da questa idea primordiale della regalità e dagli antichissimi rituali per conferirla, sono derivate nel corso dei secoli cerimonie che sanciscono e consacrano un effettivo cambiamento di stato, solitamente un passaggio dal mondo profano a quello sacro. Determinando così, per chi ne è protagonista, un nuovo inizio in una mutata condizione.
E proprio nell’ambito di tali riti, vengono praticate unzioni o aspersioni rituali con sostanze benedette per purificare e battezzare. Ne troviamo traccia nello zoroastrismo, in Polinesia, presso gli antichi Germani, nei culti animisti dei primitivi, o negli antichi riti misterici della tradizione greca e romana. È il caso del taurobolio praticato nei misteri di Attis, ossia il bagno rituale nel sangue di un animale sacro. Anche nei misteri del dio Mitra l’iniziato doveva compiere il sacrificio di un Toro e poi lasciare che il suo sangue lo vivificasse, gli conferisse nuova vita.

L’uso di sostanze consacrate ritorna anche in quelle cerimonie religiose che prevedono la condivisione di un pasto sacro o l’assunzione di una sacra bevanda da cui poter acquisire forza magica o vita divina. È il caso dei banchetti totemici, come quelli celebrati dagli Aztechi del Messico che, in occasione di alcune festività religiose, fabbricavano un’immagine di pasta del loro dio, che veniva simbolicamente messo a morte, quindi fatta a pezzi e distribuita ai fedeli che se ne cibavano. Tra le bevande sacre ricordiamo il soma della religione vedica, ossia il succo di una pianta sacra considerata bevanda degli dei – corrispondente all’ambrosia dei greci e all’amrita degli indù – in grado di conferire agli uomini salute fisica, scienza e santità, facendo di chi ne beveva un uomo nuovo. L’haoma mazdaico ne è l’equivalente e pertanto anch’esso veniva considerato un farmaco d’immortalità. La mirra offerta al Bambino Gesù dai Re Magi, sacerdoti della religione mazdaica, ne è un ricordo.

Anche nei rituali mitraici si consumava un pasto sacro in memoria di quello celebrato da Mitra con il Sole, che prevedeva la condivisione tra i soli iniziati ai gradi più avanzati di una sacra bevanda – l’haoma persiano poi sostituito da vino diluito con acqua- e del pane. In questo modo il fedele avrebbe assimilato le sostanze nate dal sacro Toro acquisendone vita divina. Il pane infatti si ricava dalla spiga, la stessa che spesso nei bassorilievi mitraici con scene di tauroctonia scaturisce proprio dal Toro. Il vino invece è simbolo del sangue che sgorga dall’animale.
Sempre nei misteri di Mitra durante alcuni particolari rituali, veniva praticata sulla lingua dell’iniziato un’unzione con miele, considerato simbolo di sapienza e pertanto cibo dei beati che si riteneva preservasse dal peccato, rendendo simili agli dei.

La consacrazione poteva avvenire anche attraverso il tocco di una statua della divinità o di oggetti sacri, come accadeva nei misteri eleusini e in quelli di Cibele, o la visione improvvisa della luce che sgorga dal luogo sacro.

Queste cerimonie che prevedono l’uso di sostanze benedette erano parte di complessi rituali definiti da antropologi ed etnologi riti di passaggio e iniziazione. Rituali che mantengono tratti comuni attraverso i secoli e in tutte le aree geografiche, sono tramandati in miti e leggende e sovente vengono celebrati in particolari momenti astronomici legati al ciclo del Sole e della Luna (solstizi, equinozi, pleniluni…).
Possono riguardare l’ordinazione sacerdotale, l’iniziazione religiosa, l’investitura cavalleresca, la consacrazione di Re, Principi e Papi, l’inserimento nella società, l’adesione ad una confraternita, il passaggio dall’adolescenza all’età adulta, ma anche matrimonio, morte, viaggi.

Arnold Van Gennep, che agli inizi del Novecento ha studiato questi rituali e per primo ha utilizzato la definizione di “riti di passaggio” (Les rites de passage, 1909), ne distingue tre fasi che ricorrono in tutte le tradizioni: preliminale, liminale e post-liminale. La fase pre-liminale era articolata a sua volta in tre momenti essenziali: separazione, ossia il distacco dal mondo profano che poteva avvenire ad esempio con il ritiro nel deserto o dimorando in un luogo sacro quale il tempio, purificazione necessaria per eliminare ogni eventuale impurità e che poteva avvenire attraverso l’abluzione o il digiuno, ed esorcismo. Ad essa seguivano la vera e propria fase di transizione (fase liminale) e quindi una successiva reintegrazione (fase post-liminale).

Un esempio di questi riti di passaggio, che in taluni casi possono coincidere con vere e proprie iniziazioni, è il battesimo nel cristianesimo primitivo, che era praticato da un sacerdote e riservato principalmente agli adulti: la fase preliminale prevedeva un rito di purificazione ed esorcismo per allontanare le impurità del peccato; la fase liminale era quella del battesimo vero e proprio (per immersione totale) e dell’unzione con olio dopodiché il catecumeno, abbandonati i vecchi abiti, indossava una veste bianca e riceveva un nome mistico; nella fase post liminale, l’individuo rinato come cristiano poteva partecipare al rito della Messa e riceveva l’eucaristia. Il battesimo era inteso come un’effettiva morte e resurrezione, da resurgere che significa nascere a nuova vita, una nascita regale da un nuovo lignaggio, quello divino come figlio di Dio.